
“Persino si arriva alla sera provando vergogna della propria felicità. Il sole si è nascosto, un po’ come me, nella solitudine di un angolo aperto che farà il suo giro fino al mattino per ripresentarsi al mondo. Ripongo i sogni nel mio cuore e come flagelli tornano a farmi tormento la solitudine e l’indifferenza, la banalità del quotidiano che spesso di fa tremendo. Eppure quanta fortuna, quanta bellezza! Bisogna rendere omaggio alla possibilità del vivere giorni tanto belli, impegnativi e appassionati, spensierati nella loro inseparabile concentrazione, sacerrima. Nemmeno il moderno vocabolario dei computer riconosce questa parola. Siamo dispersi, navi alla deriva in acque di decadenza. Dove stiamo andando a finire? Poco a poco anche io perdo le parole come tessere di un mosaico che invecchia, come una montagna che poco a poco si sgretola.
“L’inevitabile pesantezza dell’essere”: mi pare di avere udito queste parole, o forse le ho sognate? Mi si spalancarono gli occhi mentre tenevo tra le mani la corda assicurando il compagno. Chi lo disse, perchè? L’uomo o la montagna, un dio in qualche luogo al di fuori o all’interno di me? Forse è come se vincendo la gravità di vincesse almeno per un po’ quella pesantezza, che non è solo corporea e sostanziale, ma qualcosa che trascende la materia e rintocca nell’anima come la vecchia campana di bronzo d’un campanile lontano.
Mi riempie l’animo questa prima salita su una via classica, una via a soli chiodi, dove ho potuto sentire il suono che fa il martello ribattendoli, riportandomi col pensiero alle letture di Emilio Comici, che descriveva il suono che fa un chiodo buono, dove ho potuto realizzare che quegli stessi chiodi che vedevo erano quelli utilizzati dai primi salitori, immaginandone la creatività e l’impegno, provando per loro solidarietà e rispetto, così come lo provo per colui che ha reso possibile questa appassionante e impegnativa salita, insieme a tanta gratitudine. E dove ho sentito ancora una volta, in modo ancor rinnovato, la voce della Montagna che suona nel grande silenzio mentre noi tendiamo verso di lei. Dove ancora mi sono sentita più che mai viva.” Appunti personali, 21 giugno 2018

Relazione
Punto di partenza: Chiappera (CN)
Materiale: mezze corde da 60m, set di friend e di nut, martello per ribattere i chiodi, fettucce e cordini per le attrezzare le soste e allungare i rinvii per diminuire gli attriti
Tipo di via: concatenamento di vie classiche alpinistiche attrezzate unicamente con qualche chiodo sui tiri e alle soste, ad eccezione della sosta in comune con la via Balzola, attrezzata a spit.
Avvicinamento: dal parcheggio per la via normale alla Provenzale, prendere il sentiero per il Colle Greguri e seguirlo fin quasi al colle.
Attacco: una ventina di metri a destra della via Balzola, a sua volta una quindicina di metri a destra dello Spigolo Maria Grazia (targa bianca).

Sete d’Oriente
Difficoltà: D+
Lunghezza: 240m
Apritori: Januse Budzeiko, Daniele Caneparo, Krzysztof Dudzinski, Maurizio Oviglia, 12 febbraio 1984
Si seguono i primi 3 tiri della via Sete d’Oriente:
L1: si attacca in un diedrino sovrastato da un tetto, il primo chiodo è abbastanza alto in una fessurina sulla destra; raggiunto il tetto (possibilità di integrare con friend) si traversa sotto di esso verso sinistra uscendo in un altro diedro, che si segue fino a superare un tettino e giungere alla sosta, abbastanza scomoda. 30m, IV+/V

L2: dalla sosta spostarsi verso destra di un paio di metri per poi salire dritti e poi lievemente verso sinistra fin sotto un tettino inciso da una fessura, che si supera verso destra, per poi giungere in sosta su di una piccola cengia. 35m, V
L3: proseguire verso un’evidente lama lievemente verso destra e proseguire in direzione di altre due, piegando verso sinistra raggiungere su un comodo terrazzino la sosta della via Balzola. 35M, IV+

Trasferimento: dalla sosta della via Balzola attraversare orizzontalmente verso destra (si incontra uno spit della via Ulag: gioco selvaggio) per portarsi alla base dell’enorme diedro Calcagno. 15m, IV

Diedro Calcagno
Difficoltà: D+
Lunghezza: 260 m
Apritori: Gianni Calcagno, Lino Calcagno, Luigi Coluccini, Giovanni Scabbia, Gianfranco Negro, 15 maggio 1965
Si seguono due tiri della via classica:
L1: si attacca il diedro sul fondo, tenendosi principalmente sulla sua faccia destra, aggirare a destra uno strapiombetto e pervenire alla sosta in corrispondenza di una strozzatura. 35m, V

L2: proseguire nel diedro portandosi poi più decisamente sulla destra seguendo una zona di rocce più facili che adducono ad un terrazzino. 40m, V/IV

Variante Diretta Savio
Difficoltà: TD-
Apritori: Sergio Savio
Invece di proseguire sul lato destro raggiungendo con un tiro di 30m di IV sulla Diagonale Est e poi in vetta con un altro tiro di III, si punta verso il fondo del diedro per la variante Savio.
L1: dal terrazzino ci si porta di nuovo nel fondo del diedro, raggiungendo la base di uno strapiombo di rocce gialle, dove a tratti la qualità della roccia tende a peggiorare. Si supera con un bel passo fisico lo strapiombo (più possibilità di integrare) e si esce su rocce più semplici, raggiungendo una sosta della Diagonale Est. 25m V+/VI+

Con un ultimo tiro si può raggiungere la vetta.
Discesa: utilizzando le soste attrezzate per corda doppia lungo la Diagonale Est (4 calate dalla cima)

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